lunedì 23 novembre 2015

Elogio della complessità dei sapori...o del sapore della complessità

Mi fa effetto tornare qui dopo tanto tempo...ciao! Erano anni che aspettavo un'ispirazione che tardava ad arrivare: le figlie sono cresciute e non sono più gnome come agli inizi e perfino i loro gusti alimentari, pur sempre generalmente monotoni, cominciano ad essere leggermente più variegati...parlare di alternative alla pasta in bianco non mi appassiona più e, del resto, la rete è sempre più piena di idee in tal senso, non potrei offrire un contributo significativo. Eppure mi è tornato improvviso il desiderio di scrivere, forse spinta dagli avvenimenti tragici degli ultimi giorni. Tranquilli, non ho alcuna intenzione di fornire opinioni non richieste, ma, come credo a tutti, anche a me i fatti di Parigi hanno fatto riflettere parecchio su tante cose, non per forza legate al terrorismo, ma sulla vita in generale. 

In particolare, ho pensato all'impatto che la globalizzazione ha avuto sulle nostre abitudini quotidiane e a come il nostro rapporto con le realtà straniere sia in continua evoluzione: ricordo bene quando, una trentina di anni fa, ci si approcciava ai primi ristoranti cinesi...inizialmente c'era diffidenza: ma cosa sono questi involtini? non si capisce nemmeno cosa ci sia dentro...e se poi ti mangi la carne di cane? mica te lo dicono...però, la curiosità era troppa per resistere e così si passò prima ai timidi assaggi e poi, tutto sommato, all'amore puro per i ravioli al vapore e il riso cantonese; e vuoi mettere il divertimento? era uno spasso ritrovarsi con gli amici a tirarsi involontariamente i wan ton nei capelli perchè non si era capaci di afferrarli con le bacchette! Passato qualche anno, però, i ristoranti cinesi si sono moltiplicati e mangiare tanto a prezzi modici è diventato un'abitudine: l'entusiasmo della novità e dell'esclusività è venuto meno, il cibo cinese è divenuto pian piano parte della nostra quotidianità e oltretutto gli si è affiancata una moltitudine di altri ristoranti etnici, dall'eritreo al greco, al tanto attuale giapponese, che lo hanno reso sempre meno attraente ad un pubblico esigente e desideroso di assaporare cose nuove. 

Ecco, ho citato il ristorante cinese per fare un esempio semplice, ma il nostro approccio con le realtà estere è così un pò per tutto: si inizia con la fase di diffidenza, si passa alla curiosità, ci si abitua, ci si dimentica. Non riusciamo ad apprezzare realmente il contributo che la diversità apporta alle nostre vite, perché prendiamo quel che ci serve nel momento in cui ci serve, ma poi finisce lì, ognuno per la sua strada....è per questo forse che l'integrazione è difficile, almeno per chi ha già raggiunto l'età della ragione (i bambini no...loro, così privi di sovrastrutture, sanno davvero cosa significhi fondere le proprie radici con quelle altrui, sanno imparare, sanno ricevere e sanno trasmettere senza reticenze, dando vita ad un magnifico interscambio che arricchisce entrambe le parti): la diffidenza nei confronti del diverso ci porta a non aprirci, a non confrontarci, a non aver davvero voglia di capire l'altra persona. Siamo assolutamente eccelsi nel dare giudizi di primo pelo, ma non altrettanto bravi nel voler conoscere e nel volerci fare conoscere. Come se uno avesse paura, perchè ad aprirsi troppo poi gli altri si approfittano e ci rubano tutti i segreti. Ma quali segreti, di preciso? Ecco...ho citato un esempio gastronomico e tutto sommato non l'ho fatto a caso: l'ambito culinario è forse quello in cui abbiamo meno reticenze...il palato è sempre stato il punto più vulnerabile dell'italiano medio, ma oserei dire dell'uomo medio, per lo meno di quello occidentale; il che ci porta ad avere il desiderio di contaminare, sperimentare, confrontare, apprendere. E quanta soddisfazione nell'assaporare la tanto decantata "cucina fusion"! Sì, tanta soddisfazione: perchè l'unione, ad esempio, della cucina araba con quella mediterranea è uno spettacolo, sapori diversissimi che si combinano tra loro in un'alchimia magica che sorprende le papille gustative...e lo stesso succede se si combinano tra loro la maggior parte delle culture gastronomiche: le ricette segrete delle nonne africane con quelle delle nonne napoletane, il sapere dello chef spagnolo con quello dello chef statunitense e via discorrendo. 

Siamo allettati dalla comunione di sapori, ma respingiamo la comunione di spiriti, di pensieri, di idee...e, purtroppo, respingiamo soprattutto la comunione di intenti, che dovrebbe essere quella invece più auspicabile. Dovremmo lasciarci guidare di più dal palato, forse...lasciare che lo stesso entusiasmo che ci porta ad assaporare un cibo diverso ci trascini a voler assaggiare anche un tipo di rapporto diverso con le persone, farci contaminare dalle culture e avere desiderio di contaminare anche gli altri. Il mio è un discorso lato: la diffidenza verso lo straniero credo sia la cosa più globalizzata in assoluto! Siamo diffidenti noi quanto lo sono gli altri. Ci manca quello step che fa sì che si riconosca il reciproco arricchimento che deriva dalla corretta comunicazione...

Mia mamma, come già avevo raccontato in precedenza in questa sede, non era esattamente una cuoca provetta e non amava affatto sperimentare sapori nuovi (le rare volte che ha messo piede in un ristorante cinese ha ordinato un'omelette); è accaduto tuttavia che una volta, non saprei nemmeno quando, avesse assaggiato un piatto che io definirei improbabile, eppure le piacque tanto e tentò di riprodurlo a casa. Da allora divenne uno dei suoi cavalli di battaglia e perfino io, che invece adoro assaggiare cose insolite (nei limiti del commestibile, si intende!), ho fatto fatica ad assaggiarlo. Questo per dire che, nel momento in cui si riescono ad abbattere le barriere e le sovrastrutture, si diventa davvero liberi e si trova la chiave per apprezzare le diversità e trarne giovamento.

...Che per caso volete sapere di che piatto si trattasse???? ok, vi lascio la sua originale trascrizione del "riso alla cubana"...a voi decidere se sperimentare o meno ;-)